Il Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza è un documento definito dall’ANAC di rilevanza strategica e dovrebbe orientare, insieme al DUP e al Piano Performance (tutti documenti tra loro correlati) l’azione operativa della struttura organizzativa.
La realizzazione dei documenti di rilevanza strategica impegna non poco gli uffici competenti ma, in moltissime occasioni, tali documenti rimangono a livello di buone intenzioni riuscendo ad incidere solo marginalmente sul reale funzionamento delle ammistrazioni pubbliche
E come funzionano le amministrazioni pubbliche?
Se, oltre alle sensazioni personali, qualcuno vuole trovare conforto in dati certi, può consultare questo studio della CGIA di Mestre il cui titolo è tutto un programma
“Al Sud abbiamo la Pubblica Amministrazione più scassata d’Europa”
ma nessuna regione sta bene (aggiungo io).
Visto che il problema si presenta all’incirca nello stesso modo in tuti gli enti, a prescindere dal comparto, dalla dimensione, dalla localizzazione geografica e dal tipo di Piano, abbiamo pensato che ci deve essere qualcosa alla radice che rende lettera morta proprio quei documenti che, invece, dovrebbero illuminare e guidare l’operato dell’ente.
Il Paradosso della Publica Amministrazione
Infatti assistiamo a questo paradosso: la pubblica amministrazione viene vissuta dai cittadini, secondo lo studio della CGIA, come inadeguata e corrotta da un lato; da un altro ritroviamo una classe dirigente politica e amministrativa che, in modo bulimico, emana leggi, adotta regolamenti e architetta piani proprio per cambiare questo stato di cose e, dall’altro lato ancora, assistiamo ad una pubblica amministrazione impermeabile al cambiamento.
Più la pubblica amministrazione resiste al cambiamento, più si fanno nuove leggi per riformarla. Leggi nuove richiedono nuovi Regolamenti e nuovi Piani i quali vengono puntualmente ignorati, per quanto possibile.
Perché? o Come?
A questo punto verrebbe naturale chiedersi perché?
Infatti sembra razionale ricercare le cause di un qualcosa che non ha funzionato come ad esempio la realizzazione del Piano della prevenzione della corruzione e della trasparenza, (o delle performance o quello strategico contenuto nel DUP) al fine di rimuoverle e, quindi, superare il problema.
Ma, in realtà, non è cosi anzi, la ricerca del perché rappresenta il più delle volte una componente del problema e finisce per allontanare le possibili soluzioni.
Ti è mai successo, a fronte della costatazione di un fallimento di un qualunque Piano, di aver ragionato insieme al gruppo dei Responsabili, di aver individuato le cause, adottato i giusti rimedi e poi il Piano ha funzionato?
Non ci credo.
Invece succede normalmente questo: si entra in riunione con una convinzione comune: il Piano non ha funzionato. Dopotutto è un dato di fatto, il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Appena si apre la discussione sul perché, ognuno offre una sua analisi e spiegazione (giustificazione?) dei fatti. Tutti veri e tutti parzialmente diversi.
Cosa succede a quel punto? La discussione si accende e, spesso, va fuori tema. Emergono vecchi dissapori, rancori, incapacità di dialogo e incomprensioni.
Il copione prevede due tipi di finale per queste riunioni:
- Se il Responsabile del Piano è democratico, cercherà di far convergere il gruppo su un’analisi che non pesti i piedi a nessuno: nessuno dei presenti è responsabile di nulla, la colpa è della mancanza di risorse (tempo, soldi, spazio) e quindi la soluzione dipende da altri (un altro ente, i politici, la società, la cultura, la scuola, ecc)
- Se, invece, il Responsabile del Piano ha uno stile più direttivo, stopperà la discussione e imporrà la sua analisi
In entrambe i casi, nessun passo avanti verrà fatto per risolvere la mancata attuazione del Piano e, nel successivo incontro di verifica, la discussione si ripeterà tale e quale con i medesimi esiti fino a quando, perduta ogni speranza, il tema della mancata applicazione di un Piano non entrerà più nell’ordine del giorno di alcuna riunione.
Tanto prima o poi arriverà una riforma che abrogherà quel Piano e farà entrare in vigore un’altra diavoleria.
Dimmi la verità, è così?
C‘è un altro modo di affrontare il problema della mancata implementazione del Piano della prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, ma richiede un piccolo e importante pre requisito: la ferma volontà da parte tua di vedere adottate nella pratica le misure della prevenzione della corruzione.
Se sei animato da questa volontà ma non hai ancora trovato la strada per realizzare l’obiettivo, troverai nel proseguo della lettura alcuni semplici suggerimenti.
Potrai approfondire e, soprattutto, adottare nella pratica un diverso approccio , attraverso un percorso di 4 incontri formativi che terrò nel periodo ottobre-novembre (1 ogni 15 giorni) (scopri dove)
Invece di utilizzare tempo ed energie per rispondere alla domanda “ Perché il Piano di prevenzione della Corruzione non ha funzionato?”, la comunità internazionale dei consulenti IMO, comunità di cui faccio parte, suggerisce di concentrarsi su un’altra domanda, questa:
“Come posso fare io per fare funzionare il PTPCT?”
Domanda che potrebbe essere riformulata in questo modo:
“Come posso io generare quel cambiamento necessario affinché il mio ente individui ed implementi le misure di prevenzione della corruzione dovute, utili e necessarie?
Questa è una domanda cruciale.
Mentre la ricerca del perché è rivolta a capire cosa è successo nel passato e corre il rischio di allontanare da sé ogni responsabilità , chiedersi come posso fare io ti costringe a pensare al futuro, a prefigurare il risultato che vuoi raggiungere ed ad adeguare il comportamento alle circostanze non prevedibili che si presenteranno.
Cambiare il modo di cambiare
Un percorso di 8 settimane, con 4 giornate in aula per creare un ritmo alternato tra riflessione e azione al fine di sperimentare un nuovo approccio al cambiamento e allo sviluppo delle capacità del proprio ente di integrare nelle sue normali attività lavorative, i principi e le misure della prevenzione della corruzione e della trasparenza.
Compila il seguente form per avere informazioni sul corso:
Approccio che puoi applicare a qualsiasi processo di direzione: Prevenzione della Corruzione e Trasparenza, Strategia, Performance, Digitalizzazione, Miglioramento organizzativo e revisione della spesa, ecc.
Cosa faremo nella prima giornata
Entreremo nell’ottica di considerare il Piano di Prevenzione della Corruzione come processo di cambiamento
Dobbiamo considerare, infatti, che i processi di cambiamento hanno un grado di complessità superiore rispetto ai processi operativi ordinari.
La complessità deriva dalla necessità, e difficoltà, di modificare i comportamenti lavorativi delle persone (ma i comportamenti sono solo la punta dell’iceberg) in relazione ai nuovi obiettivi strategici e operativi che l’ente si pone.
Alla radice del fallimento dei diversi Piani c’è proprio la mancata comprensione della natura specifica del processo di cambiamento.
Il cambiamento è un processo complesso che, a differenza di tutti gli altri processi operativi ordinari, richiede un approccio evolutivo, partecipativo e sperimentale.
Attraverso alcuni input teorici (pochi) ed esercizi di gruppo, di coppia e individuali, ogni partecipante comincerà a prendere confidenza con la natura di un processo di cambiamento e a mettere a fuoco il prossimo passo concreto riferito al processo di prevenzione della corruzione che egli dovrà compiere nella sua organizzazione prima della seconda giornata di aula.
La motivazione è il focus della seconda giornata
Nella seconda giornata, dopo aver raccolto i feed back da ogni partecipante su come è andato il passo individuato, approfondiremo il tema della motivazione.
Affinché le persone cambino i loro comportamenti lavorativi, non è sufficiente mostrare loro la sensatezza e la razionalità delle decisioni prese (da altri).
Non può esserci cambiamento se non c’è motivazione al cambiamento da parte di chi deve cambiare.
Non si riesce nei fatti ad adottare le misure di prevenzione della corruzione previste dal Piano (ma il ragionamento vale per tutti i Piani) se non si crea un ambiente motivante, ossia un ambiente in cui le persone :
- percepiscono il valore che generano (o che sottraggono) alla collettività con i propri comportamenti
- hanno la possibilità concreta di contribuire attivamente alla modifica dei processi lavorativi in cui sono inserite
Lo svolgimento della giornata per noi consulenti e formatori IMO International è un classico: input teorici (pochi), dialoghi a coppie, esercizi di gruppo, riflessione individuale e messa a fuoco del prossimo passo concreto
Sul prossimo passo concreto siamo maniacali, ti segnalo qui un breve video di testimonianze di persone che hanno partecipato ad un master di IMO Brasile dove tutti sottolineano la semplicità e la potenza del metodo del prossimo passo concreto
Nella terza giornata approfondiremo il tema delle connessioni organizzative
Più le organizzazioni sono strutturate secondo il modello gerarchico- funzionale, maggiori sono le contraddizioni e i conflitti che si generano.
Infatti, in questo modo, gli obiettivi di un ufficio, possono andare in conflitto con gli obiettivi di un altro. Le tempistiche, le scadenze e gli obblighi si possono sovrapporre generando problemi e malumori che presto sconfinano in veri e propri conflitti, scarsa fiducia nei colleghi, ecc
Gestire queste tensioni è possibile solo favorendo una visione olistica dell’organizzazione dell’ente in cui la sua articolazione trova senso unicamente in relazione e in funzione del raggiungimento complessivo delle finalità dell’ente.
In questo modo di vedere le cose, le tensioni che inevitabilmente si creano possono trovare una più semplice conciliazione e armonizzazione se tutte le parti dell’organizzazione si allineano alla realizzazione della finalità dell’ente.
Le difficoltà di connessione si registrano a due livelli: tra i processi operativi e tra processi operativi e processi di direzione e controllo.
Anche i processi di controllo sono essenziali alla finalità dell’ente ed hanno la stessa dignità dei processi operativi anzi, rendicontare, monitorare, controllare e analizzare risultano attività irrinunciabili se si vuole realizzare al meglio le finalità dell’ente, ma devono essere ben connesse ai processi operativi e di direzione.
Anche in questa giornata, dopo aver raccolto i feed back sul passo eseguito dai partecipanti nell’organizzazione e sui cambiamenti avvertiti dentro di sé e nell’ente, daremo alcuni spunti teorici, dialoghi a coppie, esercizi di gruppo, riflessione individuale e individuazione del prossimo passo concreto da compiere prima della quarta giornata di aula.
Chiuderemo con la leadership orizzontale
La capacità di esercitare una leadership orizzontale determina la qualità del processo di Prevenzione della Corruzione ( e di qualsiasi altro processo che richiede un cambiamento).
Affinché il processo di prevenzione della corruzione sia sviluppato in modo sostenibile ed efficace, ossia favorendo la modifica dei comportamenti lavorativi e l’integrazione con gli altri processi, è necessario che le figure chiave del sistema (RPCT e figure Apicali) siano in grado di esercitare una leadership orizzontale. Ossia una leadership che non guidi le persone ma i processi.
A fronte delle crescente complessità che si registra fuori e dentro le organizzazioni, è illusorio per un Responsabile pensare di guidare e farsi seguire dai propri collaboratori e dipendenti.
Le persone non possono essere guidate, devono essere attivate
Attivare le persone vuol dire:
- stimolare la leadership individuale di ognuno
- governare la complessità organizzativa con un approccio sperimentale ed evolutivo che esca dagli schemi gerarchico-funzionale
- creare i circoli di integrità come infrastruttura diffusa di sviluppo delle capacità personali e organizzative di individuare e sperimentare efficaci misure di prevenzione della corruzione e trasparenza
Il percorso formativo verrà proposto in parallelo nelle seguenti Regioni:
Sicilia
Campania
Puglia
Lazio
Toscana
Piemonte
Lombardia
Veneto
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